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La nanoscienza programma farmaci attivabili | Vittoria Raffa

Buongiorno a tutti. 

Avreste voglia di fare un viaggio con me nel futuro? Bene, allora vi porto in un posto che frequentiamo tutti: una farmacia nell’anno 2050. Io mi calo nel personaggio: voi immaginate me con trent’anni di più, piena di acciacchi che entro in farmacia. Mi rivolgo un po’ zoppicando alla dottoressa e le dico: “Dottoressa guardi, ho nuovamente quella terribile neuropatia al nervo sciatico. Avrei bisogno di un farmaco, però gentilmente non mi dia quello solito, quello che mi causa quelle terribili emicranie e la sonnolenza per giorni.” Allora la dottoressa, con fare paziente, mi dice: “Signora, lei mi sta dicendo che non vuole un farmaco tradizionale. Le potrei proporre una formulazione attivabile”. Come immaginate, questa idea mi entusiasma, chiedo subito spiegazioni. Allora la dottoressa mi dice con competenza: “Si tratta di una nanoformulazione che si attiva solo nel nervo sciatico, quindi non ha effetti collaterali, niente mal di testa, nessun altro effetto collaterale.” 

Bene signori, lasciamo questa vecchietta contenta, entusiasta in quella farmacia nell’anno 2050 e torniamo un attimino nel presente perché vorrei spiegarvi come mai questa scenetta ritrae un futuro per me verosimile. Lo faccio partendo dal concetto di nanomedicina, ossia quella disciplina che studia nanoparticelle, nanoformulazioni, ovvero nanoparticelle capaci di introdurre dei farmaci all’interno della cellula. Le nanoparticelle sono oggetti piccolissimi, piccoli come un virus, un coronavirus, per capirci. Per capire quanto sia piccola una nanoparticella, immaginate il rapporto di dimensioni che c’è tra una coccinella e un elefante. Proprio in virtù di queste piccolissime dimensioni, la nanoparticella è in grado di attraversare le membrane cellulari e trasportare i farmaci all’interno.

Qual è il vantaggio di questo approccio? Il vantaggio di questo approccio è poter superare le barriere biologiche. Che cosa sia una barriera biologica, ve lo spiego con una animazione. Immaginiamo di avere un individuo che abbia una certa patologia, per esempio una patologia oculare di natura genetica. Allora immaginiamo insieme il viaggio che debba fare il farmaco per poter svolgere la sua azione terapeutica. Questo farmaco verrà instillato come collirio nell’occhio, dovrà portarsi nella camera posteriore dove si trova la retina, dovrà trovare il giusto strato di cellule, passare le membrane cellulari, arrivare nel nucleo e identificare il gene da bersagliare. WOW, è un viaggio lunghissimo! Capite bene che spesso un farmaco fallisce non perché non sia in grado di esercitare la sua azione terapeutica, ma perché non è in grado di compiere questo lungo viaggio. La nanomedicina fa proprio questo: sviluppa dei nanotrasportatori, cioè nanoparticelle che siano in grado di traghettare un farmaco all’interno della cellula. Ma la nanomedicina è intorno a noi: le nanoparticelle le ritroviamo nelle nostre case, negli shampoo, creme per il corpo, qualunque prodotto cosmetico, ma le troviamo anche in farmacia, in tantissimi farmaci che tutti i giorni salvano la vita dei pazienti come, per esempio, farmaci chemioterapici per curare tumori. Allora dove sta la novità? Cosa dobbiamo aspettarci dal 2050? Dove sta l’innovazione? Nella scenetta del futuro vi avevo parlato di nanoformulazioni attivabili, cioè farmaci che si accendono e si spengono con uno stimolo, come quando pigiamo un interruttore per accendere una radio, un televisore, qualunque dispositivo elettronico. Perché avere dei farmaci che si accendono e si spengono dovrebbe rappresentare una rivoluzione per la medicina? 

Sappiamo tutti che i farmaci hanno degli effetti indesiderati: è sufficiente leggere il bugiardino di qualunque farmaco che avete nella vostra dispensa per leggere frasi del tipo: usare solo dietro prescrizione medica, non abusare del farmaco. Questo perché chi più, chi meno, tutti i farmaci hanno degli effetti collaterali. Allora possiamo immaginarci un futuro, un anno 2050, in cui questi farmaci vengano somministrati in una forma inattiva, innocua, che venga poi attivata esclusivamente nella cellula malata. 

In questa animazione vedete un esempio di farmaco fotoattivabile, come dice la parola stessa, un farmaco che si attiva con la luce, che somministriamo in questa forma inattiva, quindi innocua, in un paziente che ha una lesione cutanea che deve essere eliminata. Il paziente prenderà il farmaco in questa forma inattiva, dopodiché noi esporremo la lesione cutanea ad una luce laser. Il punto irraggiato, e soltanto quel punto, vedrà l’attivazione della nanoformulazione fotoattivabile e, trattandosi di un farmaco killer, causerà la scomparsa della lesione. In qualunque altro punto dell’organismo, poiché non c’è stato irraggiamento, la nanoformulazione sarà inattiva e quindi non ci saranno effetti collaterali.

Bene, arrivati a questo punto del talk un pochino di scetticismo potrebbe essere accettabile. Vi sto parlando di nanoparticelle che si accendono e si spengono con i fasci laser; quindi, suona molto da film di fantascienza. Eppure, le cose stanno così, non ci sono dubbi: di esempi illustri ne abbiamo tantissimi, alcuni addirittura storici. Il primo esempio risale al IV secondo d.C., è la magica coppa di Licurgo. Perché è magica? È una coppa che alla luce del sole appare di questo colore verdino, ma se nell’oscurità mettiamo una candela, per esempio, al suo interno, risulta di questo colore rosso. All’epoca questa era considerata magia, alcuni ritenevano fosse un dono degli dei. Oggi sappiamo che i sapienti artigiani romani, inconsapevolmente, avevano inserito nell’amalgama per forgiare questa coppa una miscela di nanoparticelle d’oro che sono fotoattivabili, si attivano con la luce: ecco spiegato l’effetto ottico. Tuttavia, signori, dobbiamo aspettare un po’; dobbiamo aspettare il XX secolo affinché qualcuno proponga di utilizzare le proprietà magiche delle nanoparticelle per scopi medici e a farlo è un famosissimo scienziato, sono sicura che la metà di voi in questa sala lo conosce. È un famosissimo fisico premio Nobel. Si chiama Richard Feynman. Allora facciamo un altro viaggetto nel tempo, stavolta però andiamo indietro nel passato. C’è un palco come questo, al mio posto c’è Richard Feynman, c’è un pubblico come voi, ci sono dei presentatori come Giorgia e Federico. Allora il presentatore chiede al famoso scienziato: “Signor Feynman, lei come si immagina il XXI secolo? Come si immagina la medicina e la chirurgia nel XXI secolo?” La domanda è chiaramente pertinente: siamo nel 1960. Allora Richard Feynman con fare provocatorio, che gli è solito, risponde: “Io immagino un XXI secolo senza chirurghi. Io immagino che il paziente inghiotta il chirurgo e che il chirurgo sia in grado di operare il paziente dall’interno.” Bene, è la nascita della nanomedicina. È un concetto così forte e attraente che viene subito ripreso dalla cinematografia, come spesso succede. Infatti, in basso a destra trovate la locandina del film Fantastic Voyage che nel 1966 vince il premio Oscar per i migliori effetti speciali e parla appunto di nanochirurghi che viaggiano, esplorano il corpo umano alla ricerca del patogeno da eliminare. 

Partendo da queste idee visionarie di Richard Feynman, passando per la cinematografia, che cosa è diventata la nanomedicina nell’anno 2021? Sicuramente si è sviluppata in molteplici filoni di ricerca. Io vi racconto quello di cui mi occupo più da vicino, a cui ho dato il nome di “nanomedicina programmabile”. Sapete tutti, programmare un sistema vuol dire aspettarsi un output sulla base di un determinato input. Programmare una nanoparticella vuol dire aspettarsi un effetto terapeutico sulla base di un determinato stimolo. Ora vi voglio raccontare di due progetti di ricerca che hanno prodotto delle nanoformulazioni attivabili, progetti che sono stati condotti nel laboratorio di ricerca che io coordino.

Il primo, utilizza un nanotubo di carbonio. Il nome la dice lunga: si tratta di una particella a forma di tubicino interamente fatta da atomi di carbonio. Quello che abbiamo scoperto è che questa nanoparticella si attiva con un campo elettromagnetico, come quello prodotto dai vostri telefonini, dagli smartphone. Quello che abbiamo fatto è di mettere in contatto queste nanoparticelle con i neuroni, che sono le cellule del nostro organismo responsabili della conduzione degli impulsi nervosi. L’abbiamo fatto allo scopo di trasportare dei farmaci all’interno di questi neuroni. Nell’animazione vedete il nanotubo di carbonio a contatto con le cellule. Vedete al suo interno il materiale genetico che vogliamo trasferire dentro le cellule. Ad un certo punto ci sarà l’accensione del dispositivo che genera il campo elettromagnetico: questa causerà l’attivazione del nanotubo di carbonio, la sua attivazione causerà una perturbazione locale del campo elettrico in prossimità del neurone e l’apertura di minuscoli pori attraverso le membrane cellulari e sono questi i pori attraverso i quali passerà il materiale genetico che vogliamo trasferire dentro la cellula. Bene signori, a questo punto è facile proiettarsi nel 2050. Immaginarsi un futuro in cui una tecnologia come questa, o simile a questa, possa essere utilizzata per trasferire qualunque molecola all’interno dei neuroni. Vi faccio degli esempi: molecole che possono curare malattie neurodegenerative come il Parkinson o l’Alzheimer, o materiale genetico per curare le malattie genetiche, oppure dei farmaci chemioterapici per curare i tumori. Capite bene che, se questa speranza fosse attesa, tantissime malattie ad oggi considerate incurabili avrebbero la loro cura, troverebbero la loro cura. 

Ma passiamo al secondo progetto: in questo progetto utilizziamo delle nanoparticelle magnetiche, ovvero particelle che sono facilmente manipolabili con un campo magnetico, un semplice magnete come quello che utilizziamo a scopi decorativi. In questa animazione vedete anche il neurone: riuscite a distinguere il corpo cellulare dal lungo prolungamento che conduce gli impulsi nervosi e che si chiama assone. Allora immaginiamo di inserire una miriade di queste nanoparticelle magnetiche all’interno dell’assone. Quando andremo ad applicare la nostra calamita dall’esterno, si genererà una forza magnetica di attrazione. Quello che ha scoperto il mio gruppo di ricerca è che questa forza può indurre l’allungamento, la crescita, la rigenerazione assonale. È semplice, intuitivo immaginarsi un 2050 in cui tecnologie simili a questa, o come questa, possano essere usate per curare pazienti con lesioni nervose causate da un incidente stradale, ferite d’arma da taglio, traumi da sport, lesioni spinali o lesioni ad un nervo periferico come il nervo mediano, il nervo sciatico. Bene, possiamo immaginarci un futuro in cui queste nanoparticelle magnetiche siano assunte dal paziente: tra l’altro sono già utilizzate nel paziente ma per trattamenti diversi, ad esempio per curare l’anemia. Quindi possiamo immaginare di somministrare queste nanoparticelle magnetiche al paziente che poi indosserà un dispositivo magnetico, un braccialetto, una cintura, in prossimità della ferita. Questo consentirebbe la rigenerazione nervosa, ossia la rigenerazione di nuovi fasci assonali, come li vedete in questa figura. Cosa vorrebbe dire per il paziente? Vorrebbe dire recuperare le funzioni motorie, ricominciare a camminare, ricominciare ad afferrare oggetti… insomma recuperare la funzione motoria interrotta dall’incidente. Bene, questi due progetti di cui vi ho appena parlato sono soltanto due dei tantissimi interruttori macromolecolari che sono in corso di progettazione e che saranno progettati nel mio laboratorio di ricerca e in tanti altri laboratori di ricerca in tutto il mondo, allo scopo di accendere e spegnere un farmaco dove serve, quando serve, in un organismo vivente.

Allora vi saluto con il mio sogno. Il sogno che i banconi delle farmacie dell’anno 2050 siano pieni di queste nanoformulazioni attivabili senza effetti collaterali. Ritorniamo per un momento al pensiero di me vecchietta in quella farmacia nell’anno 2050: auguriamole, auguratemi, che questo mio sogno possa diventare, per lei e, chissà, anche per tanti altri, una concreta speranza di guarigione.

Vi ringrazio.